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Bel film di Pedro Almodovar. Film sulle donne, sulle sue donne, che lui ama come genere, come sorelle e come madri, non come femmine.
Interpretazone stupenda di Penelope Cruz, a cui Almodovar ha imbottito il sedere per farla assomigliare ancora di più alle attrici italiane anni ’50 che lui ama.
E anche Carmen Maura è molto brava come sempre.
Un film su una Spagna rurale che certamente non esiste più, come non esiste più, se mai è esistito un genere femminile sempre vittima della brutalità maschile.
Qui gli uomini si vedono poco, e per quel poco ci fanno una pessima figura: ubriaconi, fannulloni, parassiti, stupratori, incestuosi e traditori.
Sembra una rappresentazione vetero femminista anni ’60, di quelle che nessuna femminista oggi farebbe più.
Eppure tanta dedizione a una causa, sia pure un poco fittizia, alla fine coinvolge e appassiona. C’è tutto il mestiere di un regista che negli anni è cresciuto molto, insieme alle sue donne, le sue attrici, sempre le stesse, che lo seguirebbero ovunque.
Queste donne per difendersi dalla brutalità maschile non esitano ad uccidere, e da questo punto di vista il film pare un manifesto, un suggerimento che spero non venga seguito.
Sono tre generazioni di donne a confronto, descritte nella solidarietà di fondo che le unisce, e qui il regista sembra suggerire che l’unica soluzione è appunto nella solidarietà tra donne in alternativa al distruttivo rapporto uomo donna.
Pare una descrizione un poco ingenua questa della solidarietà femminile, laddove invece, spesso, la competizione è il dato prevalente.
Sarebbe persino troppo facile vedere in questo lavoro i tratti fondamentali della psicologia di Almodovar, il suo rifiuto del ruolo maschile sentito senz’altro come aggressivo e prevaricatore.
Ovvio che la soluzione non è nella cancellazione delle distinzione di genere, e tanto meno nella cancellazione di un genere.
Ma tutto sommato questo è solo un film, e, in ogni caso, un bel film.